domenica 22 luglio 2012

I fluidi non newtoniani e l’arte di leggere i fondi di caffè


Nell’estate di diciannove anni fa, mi ritrovavo a scorrazzare tra il Bosforo e la Cappadocia con il mio amico e collega Igor. Viaggiavamo a bordo di un’auto bianca, noleggiata in nero in un’equivoca bottega nella zona di Topkapı, in compagnia di un mare di cianfrusaglie e ricordini, e di un dizionarietto di turco, che si rivelò vitale quando si ruppe il motore in Anatolia Centrale.

Tra gli acquisti che ci accompagnarono nel viaggio, c’era un ibrik,  bricchetto di rame dal manico lungo, che ancora conservo con cura. Serviva (e serve) a preparare il kahve,  quello che noi chiamiamo caffè turco. Ci eravamo prima assuefatti e poi innamorati di quella bevanda. Trovare un espresso era pura utopia. C’erano solo due possibilità: il kahve o il neskahve. Il secondo, come si può intuire, era il caffè liofilizzato, e lo bevevano solo gli stranieri. Noi, dopo giorni e giorni di scuola e collegio insieme agli studenti locali, non ci sentivamo più stranieri, e avevamo anche imparato a prepararlo, il kahve. La polvere che si usa è macinata finissima, impalpabile. Si mette nel bricco, insieme all’acqua e allo zucchero, e si porta a ebollizione, sul fuoco, una prima volta. Al primo bollore, si allontana dalla fiamma (il manico lungo è essenziale) e lo si lascia placare. Si ripete l’operazione altre due volte, poi si versa nella tazzina. Non si filtra, ma si aspetta che la polvere decanti sul fondo. A quel punto si può bere, avendo l’accortezza di non ingurgitare il deposito, ovvero il kahve telvesi,  il fondo di caffè.

All’inizio, lo lasciavamo nella tazza senza curarcene. Poi, in una magica serata esotica, seduti all’aperto a un bar di Ortaköy, una ragazza di Istanbul ci insegnò a leggere i fondi di caffè.

La caffeomanzia, antica arte divinatoria che la fanciulla aveva imparato dalla nonna, comporta innanzitutto la creazione di strane figure marroni sulle pareti interne della tazza. Chi vuole conoscere il suo futuro inizia appoggiando sulla tazza il piattino rovesciato. Si concentra e, tenendolo stretto tra le dita, fa ruotare il tutto tre volte. Poi, quando si sente pronto, lo ribalta. Aspetta che il kahve telvesi sia completamente sceso (lo verifica tastando la base della tazza, che deve risultare fredda),  rovescia di nuovo la sola tazzina, e la contempla. Sulle pareti, il fondo, colando, ha disegnato forme curiose, ogni volta diverse, che vanno lette e interpretate.

Passammo le nostre serate ottomane divertendoci a indovinare il futuro. Non avevamo ancora trent’anni, né una famiglia, né un posto fisso… Ma l’aspetto più affascinante del gioco, per noi, era il processo di formazione di quelle figure strane.  Poco meno di due anni prima, De Gennes aveva vinto il Nobel rivelando al mondo i segreti della materia soffice. Il kahve telvesi era materia soffice. Una sospensione densa, per l’esattezza. E una sospensione densa è un caso particolare di fluido non newtoniano.

Cosa c’entri Isaac Newton con i fondi di caffè può non essere ovvio a tutti. Tra le varie leggi che portano il suo nome, ce n’è una che riguarda i fluidi. Questa legge stabilisce la proporzionalità diretta tra lo sforzo applicato e lo scorrimento. Per questo motivo, i fluidi che la seguono si chiamano newtoniani. L’acqua e l’olio, per intenderci, sono esempi quotidiani di fluidi newtoniani. I fondi di caffè, no. Considerato che, se mi state leggendo in italiano, è abbastanza improbabile che abbiate sottomano una polvere di caffè turco, per capire il meccanismo vi propongo di sostituirla con un qualunque amido alimentare (fecola di patate, amido di mais, di frumento, di riso, …).

Gli amidi condividono con la polvere di kahve le due proprietà fondamentali che ci interessano: la finezza e l’insolubilità in acqua. Una polvere insolubile, dispersa in un liquido, da origine ad una sospensione. Parliamo di sospensione densa quando la distanza media tra i granelli è più piccola della loro dimensione. In queste condizioni, il movimento di un granello all’interno del liquido è fortemente ostacolato dalla presenza degli altri: in poche parole, non ha spazio a sufficienza per passare e va a sbattere. Di conseguenza, la sospensione incontra una forte resistenza allo scorrimento.

Volete verificarlo di persona? Mettete qualche cucchiaio di amido in un bicchiere d’acqua, lasciatelo decantare sul fondo, e versate via l’acqua in eccesso.  Il fondo che resta ha una consistenza cremosa e poco fluida, che ricorda una salsa.  Fin qui, niente di strano. Provate ora a mescolare la pseudosalsa con un cucchiaino. Se lo girate lentamente, tutto ok. Se siete troppo veloci, però, vi trascinate l’intero bicchiere. Non siete soddisfatti? Fate in modo di riempire di pseudosalsa l’intero bicchiere ed immergetevi fino in fondo il cucchiaino. Se lo estraete lentamente, quello esce. Se lo tirate troppo velocemente, si solleva il bicchiere. Prendete infine la pseudosalsa tra le mani ed iniziate ad impastare. Sembra proprio una pasta. Ma, appena vi fermate, si squaglia e cola via. Bene, a questo punto avete sperimentato a sufficienza per capire che la sospensione densa, a differenza dei fluidi newtoniani, più la forzate e meno scorre. Un fluido non newtoniano, con questa specifica proprietà, viene chiamato dilatante. Ne esistono anche con comportamento esattamente opposto: si chiamano pseudoplastici, e l’esempio più tipico è il ketchup. Ma i fondi di caffè sono dilatanti, così come la tahina, gustosa sospensione, in olio, di polvere di sesamo tostato…

Non è difficile capire il comportamento dei fluidi dilatanti. Se lo sforzo applicato non è eccessivo, granelli e liquido scorrono insieme.  Ma quando si fa troppo intenso, l’acqua viene come spremuta via, e i granelli, lasciati all’asciutto, si compattano e formano un ammasso duro e resistente.

Ora potete capire anche cosa succede quando la nostra sospensione inizia a scendere sui bordi della tazza. Innanzitutto, le rotazioni e il capovolgimento hanno prodotto delle disuniformità importanti nel fondo di caffè. La sospensione in alcuni punti è salita di più, in altri di meno. Poi, ovviamente, lo scorrimento è iniziato prima sul lato interno del movimento di capovolgimento.  Tutto ciò fa sì che il fondo cominci a scendere in modo decisamente disomogeneo: in alcuni punti è più rapido, in altri non scorre proprio. Ma la differenza di velocità provoca anche differenza di densità della polvere in acqua e, dove la densità è più alta, possono avvenire dei compattamenti simili a quelli che abbiamo visto con gli amidi. Quando l’acqua non è sufficiente, la polvere si blocca e rimane attaccata alla parete. L’acqua liberata da un compattamento, a sua volta, scendendo, può andare a sbloccarne un altro. Alla fine, quando quasi tutta l’acqua è sul piattino insieme alla polvere scesa, la polvere residua, sulle pareti, forma figure varie, complesse e imprevedibili: il risultato di un moto caotico.

Se non vi accontentate della descrizione, potete sperimentare di persona. Dovete semplicemente procurarvi una polvere di caffè finissima e una tazzina trasparente o un bicchierino. Se il caffè manca, potete provare a simularlo con un amido. Il risultato non è lo stesso, perché questi moti caotici sono molto sensibili ai dettagli, ma imparerete sempre qualcosa.

Se poi volete vedere cosa succede quando riempiamo di acqua e amido di mais una vasca da bagno, guardate semplicemente qui: è una trasmissione televisiva dell’anno scorso, in cui ci siamo divertiti un mondo. I retroscena della registrazione, poi, sono ancora più divertenti. Ma di questi, forse, parleremo un’altra volta…


P.S. Se mi volete spedire le foto dei vostri esperimenti con i fondi di caffè o altri fluidi dilatanti, possiamo provare a farne uno studio sistematico!


                                  








6 commenti:

  1. Salve Professore.
    seguo i suoi esperimenti ormai da un po', sono appassionato di cucina e mi sto cimentando con la sferificazione.
    tempo fa ho acquistato in farmacia l'alginato di sodio e il cloruro di calcio, il farmacista mi ha detto che l'alginato era "in scadenza" entro un paio di mesi.
    allora volevo sapere se è per il fatto che l'alginato è scaduto che non riesco ad ottenere dei risultati.
    chiedo scusa se ho scritto un "fuori tema", però ho colto l'occasione.
    grazie mille e complimenti per tutte le sue geniali ricette!!
    Matteo, Verona.

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  2. Caro Matteo,
    è assolutamente possibile, perché è successo anche a me...

    Qualche mese fa, tenevo una serie di lezioni serali per genitori e studenti di una scuola della mia città, e ci procurava gli ingredienti un amico farmacista. Quando servì l'alginato, purtroppo ne restava solo una piccola quantità di una partita scaduta. Feci qualche prova, ma i risultati erano pessimi. Del resto, l'alginato normalmente è bianco, mentre quello risultava marroncino.

    Detto questo, è anche possibile che la causa sia un'altra. Per esempio, se il liquido in cui va sciolto l'alginato è troppo acido, la sferificazione non riesce.
    Per ovviare all'inconveniente, il mio amico Pere Castells ebbe l'idea di aggiungere citrato di sodio per ottenere una soluzione tampone. L'esperimento riuscì, e Ferran l'assunse su due piedi.
    Ma se mi mettessi a raccontare tutti questi aneddoti, ci vorrebbe un libro intero...

    Grazie dell'apprezzamento e a presto!

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  3. i fluidi non newtoniani li ho scoperti grazie ad un mio alunno di un istituto professionale, che non studiava niente ed era mariuolissimo, ma anche molto curioso.

    poi lo bocciammo :-(

    ed è la prima volta che trovo una spiegazione chiara del fenomeno.
    ora mi torna tutto.

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  4. Ma cosa combinava lo studente mariuolo con i fluidi non newtoniani??

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  5. Salve professore.
    avrei un'altra domanda, sa dove posso reperire un contenitore per azoto liquido? anche usato, da 10lt.
    grazie mille e buona giornata.

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  6. Su ebay, ovviamente... Basta cercare "liquid nitrogen dewar" o "liquid nitrogen container". Esistono comunque anche diversi importatori italiani, che si possono trovare facilmente con una ricerca in rete. Dico importatori perché, che io sappia, in Italia non abbiamo produttori.

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