venerdì 14 dicembre 2012

Fifty shades of blue


Tranquillizzatevi. Non sono diventato un fan della James. Cinquanta sfumature di blu è il titolo, ironico e allusivo, che Roberta Razzano ha scelto per il suo nuovo evento di Food Art. Il mio laboratorio, come altre volte in passato, ha collaborato alla realizzazione del progetto, curando gli aspetti tecnici. Ma, in quest’occasione il lavoro è stato più impegnativo e appassionante, e val la pena di raccontarlo.

Per capire il percorso seguito, occorre qualche premessa. L’idea di Food Art per Roberta significa, prima di tutto, unicità e personalizzazione: ogni commensale deve vivere un’esperienza sensoriale diversa dagli altri, pur restando all’interno di un’idea comune. Ovvero, ogni singolo piatto, ogni bevanda, sarà un’irripetibile variazione su un tema. Mi direte: è normale! Anche due piatti di spaghetti al pesto sono sempre diversi uno dall’altro. Verissimo. Ma la differenza non è voluta né studiata e non è nemmeno tanto marcata. Qui, al contrario, interviene l’azione del designer, che pensa e progetta le differenze e le amplifica ad arte. L’intervento dell’artista-designer è dichiarato e visibile. Ma, a differenza del consueto concetto di design, mancano la standardizzazione e la ripetitività: la stessa idea si concretizza in mille forme diverse. 
O in cinquanta sfumature, se vogliamo…

Perché il blu? Il blu è il colore antialimentare per antonomasia.  Non esistono, in natura, cibi blu. Se uso il blu, sto dichiarando apertamente: qui c’è lo zampino dell’uomo e della tecnica. Voglio che si noti. Mi serve per richiamare l’attenzione sull'intervento del designer. Di solito, in pasticceria, questo effetto è prodotto dalla scelta di forme geometriche regolari. Ma, se opto per forme complesse e irregolari per differenziare le preparazioni, il blu mi riporta con forza all'arte e all'artificio.

Queste erano le premesse che Roberta ha dichiarato al Laboratorio. Poi ha chiesto molto di più. Voleva che, stavolta, le differenze non si vedessero solo con gli occhi, ma si percepissero con tutti i sensi possibili. Soprattutto, che permanessero anche in bocca. Chiedeva se saremmo riusciti a preparare un drink, perfettamente liquido, ma disomogeneo, formato da tante parti distinte non mescolate.

-Esiste già il B52 - azzardo- con tutta la famiglia dei layered shots.- Sono i celebri cocktails a strati orizzontali, in cui liquidi di diversa densità (e tensione superficiale!) vengono sovrapposti con cura, in modo da non lasciarli miscelare. Noterete che ho voluto sottolineare il ruolo della tensione superficiale. Si legge spesso in giro qualche spiegazione strampalata, che cita solo la differenza di densità. Ma voi sapete bene che l’acqua e l’alcol, pur avendo densità diverse, si mescolano che è un piacere…

Certo, esistono i cocktails a strati, ma Roberta voleva qualcosa di molto più complesso. Ci chiedeva la possibilità di creare disegni tridimensionali con un liquido all'interno di un altro liquido. Anzi, disegni creati con  tanti liquidi diversi, ognuno dei quali porta la sua sfumatura di colore, aroma, sapore e consistenza.

-Non è impossibile.- le dico, senza sbilanciarmi troppo. In realtà era piuttosto difficile, ma le sfide mi divertono. Iniziamo gli esperimenti. Raduno i più giovani del laboratorio. Per questo compito servono ragazzi con poca esperienza e molto entusiasmo. Mi è capitato troppo spesso imbattermi in esperti scettici che rispondono un secco no alla minima proposta di novità. Li metto a preparare ogni sorta immaginabile di fluidi non-newtoniani, perché è evidente che l soluzione deve venire da lì. I fluidi non-newtoniani possono comportarsi come liquidi a grandi scale spaziali e come solidi a piccole scale. Un po’ come la crema pasticcera, che se ne sta immobile su un cucchiaino da caffè, ma scorre e fluisce benissimo se la versiamo da un secchio. Nel nostro caso, ovviamente, le scale in gioco devono essere più piccole: il secchio diventa un bicchierino da shot.

Fluido non-newtoniano, però, è un termine troppo generico. Qui bisogna regolare mille dettagli: densità, tensione superficiale, viscosità… Per di più queste strutture, in genere, sono anche abbastanza instabili e cambiano nel tempo. Quindi, mano al cronometro e misuriamo le loro vite medie!

Non è tutto. Uno degli aspetti più affascinanti della materia soffice riguarda la dipendenza delle strutture dal processo di produzione. Se parto da due basi liquide identiche e le mantengo per tempi diversi a temperature diverse, prima di riportarle a temperatura ambiente, ottengo due fluidi dalle proprietà nettamente distinte. Capirete che il lavoro non manca…

Alla fine ce l’abbiamo fatta. Sabato 8 dicembre, all’Hub Cafè di Parma, è andato in scena l’evento-aperitivo Fifty shades of blue. I ragazzi del laboratorio hanno assistito Roberta nella preparazione dei drink, mentre in sala  trionfava il blu, in tutte le sue forme. Sugli schermi, veniva proiettato un video, in cui abbiamo raccolto diversi spezzoni filmati dei nostri primi esperimenti, che vi ripropongo, in versione ridotta, qui sotto.

La gente guardava con sorpresa quei bicchieri strani, poi non resisteva alla curiosità ed assaggiava. In bocca arrivava la nuova sorpresa, perché sapori ed aromi cambiavano in un modo ogni volta nuovo. Note di cedro, viola, anice, menta e amarena, il dolce, l’acido, l’amaro, il fluido e il liquoroso si avvicendavano senza mai ripetersi, e senza annoiare i sensi. 
C’è chi ha bevuto una decina di bicchieri. 
La mia idea di mantenere basso il grado alcolico si è rivelata provvidenziale…

E’ stato un successo e tutti si sono divertiti.

E questa è la cosa più importante, perché la gastronomia dev'essere prima di tutto un piacere!
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Grazie a tutti i giovani del LAB: (in rigoroso ordine alfabetico) Filippo Porreca, Forinda Gatti, Gennaro Colafelice, Valentina Nugent e Yansong Wang.

E grazie a Giulia Brolese che ha curato la grafica.
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