domenica 6 ottobre 2013

Cooking hackers: i pionieri.

Domattina ci sarà la cerimonia. 

Il Presidente dell’Académie Internationale de la Gastronomie mi consegnerà il Grand Prix de la Science de l’Alimentation.

 La motivazione, che già compare sugli annali, recita così: “Pionnier en recherches scientifiques culinaires”.

Mi diverte quella parola. Non avrei mai pensato di diventare un pioniere, nemmeno da ragazzino, quando guardavo i film western. Piuttosto, mi sono sempre considerato un hacker. Un hacker della cucina. Ovviamente, non nel senso di “pirata”, come insiste a suggerirmi il demenziale correttore di Word.  L’hacker, nel senso originale e più puro del  termine, è colui che,  trafficando e smanettando, scopre strade nuove ed escogita soluzioni inaspettate.  

Mi sono talmente innamorato di questa definizione che, da un anno a questa parte, inserisco “Cooking Hackers” nel titolo tutte le conferenze sulla storia della cucina molecolare. E anche domani non verrò meno all’usanza.  Il programma è già stampato: “Cooking hackers: l’epopea della cucina molecolare”.  

Scorro sullo schermo del computer il PowerPoint che ho usato l’altro giorno a Napoli. Mi soffermo su una pagina con tante foto. Sono volti di persone. Ci sono anch’io. Sono i pionieri, con dieci anni di meno. Gli hacker della cucina. I miei amici…

C’eravamo quasi tutti, a Murcia, nel 2004. Nasceva il grande movimento. La scuola spagnola e la scuola di Erice si fondevano in un’unica ondata di entusiasmo. Erano iniziati gli anni ruggenti. Erano gli anni delle coppie cuoco scienziato. Le riguardo una ad una sulla diapositiva. Pierre ed Hervé. Heston e Peter. Andoni e Raimundo. Ferran e Pere. Ettore ed io. Guardo la fila di sotto, quella degli scienziati. Come eravamo diversi tra noi... Due fisici, due chimici, un medico.

Hervé, con l’immancabile colletto alla guru, per evitare –mi diceva- di dover abbinare e annodare le cravatte. Alla fine delle grandi cene, quando riempivamo la sala e le bottiglie erano vuote, intonava “La bataille de Reichshoffen” e faceva saltare i commensali a cavalcioni delle sedie…

Peter, l’uomo dei pinguini. Chi non l’ha conosciuto quasi non ci crede. La passione sua e di Barbara per gli sfeniscidi è tanto viscerale che non li ho mai visti senza un vestito con un pinguino disegnato sopra (guardate la foto…).

Raimundo. Illustre ordinario di anatomia patologica e critico gastronomico inarrivabile e impietoso. Un mangiatore d’altri tempi. Un peso massimo. Che nostalgia dei nostri lunghi viaggi. “Siamo qui per fare turismo gastronomico” -  diceva alla reception. E, alla sera, la serie interminabile di gin tonic…

Pere, che va a cena al Bulli, parla con lo chef, entra in cucina, gli risolve in pochi minuti il problema della sferificazione del succo di mela e viene assunto… Era nel mio laboratorio in quel giorno di primavera del 2008, quando Santi partì all’attacco di Ferran e dei molecolari. Mi ricordo ancora le telefonate convulse: “E’ impazzito! E’ impazzito!”…

Tante volte mi sono chiesto cosa avevamo in comune,  al di là della passione per il cibo. Ma ora, riguardando quei volti familiari, è come se tutto mi diventasse chiaro.

Nessuno era giovanissimo, anzi. Eravamo tutti già piuttosto maturi, sia d’anni che di professione. Tanta esperienza e quel fatidico posto fisso che il ricercatore insegue a lungo come un miraggio. Nessuno di noi, prima d’allora, si era occupato di cibo per mestiere. Facevamo tutti altri mestieri. Facevamo ricerca di punta in altri settori, che nessuno aveva mai pensato di collegare alla cucina. D’improvviso, scoprimmo di avere  in mano strumenti potentissimi che gli studiosi tradizionali di cibo non conoscevano ancora. E non dovevamo usarli nei modi tradizionali. Potevamo permetterci di fare gli hacker…

In poche parole: eravamo meravigliosamente e infinitamente liberi.

Liberi dai condizionamenti della cosiddetta “comunità scientifica”. 
Liberi dalla necessità di pubblicare i risultati. 
Liberi dalle scartoffie accademiche.

Non dovevamo compilare moduli interminabili per chiedere fondi di ricerca. Le cucine dei grandi ristoranti ci mettevano a disposizione tutto ciò che potevamo desiderare.

Non dovevamo rendere conto di quel che facevamo a referee, direttori di ricerca, colleghi puntigliosi. Non c’era il burocrate di turno a valutare il tuo lavoro. Il nostro pubblico era diventato improvvisamente un altro: quello delle migliaia di cuochi e gourmet che accompagnavano con entusiasmo e passione la più grande rivoluzione gastronomica del secolo.
Era un sogno.

Entravamo dietro le quinte di uno spettacolo, che affascinava una moltitudine di persone appassionate e competenti.

Ed eravamo tutti amici. Nessuna rivalità. Ognuno ammirava il lavoro e le scoperte degli altri. Ci si raccontava tutto, onestamente e liberamente. I pionieri non hanno bisogno di competere. La terra da esplorare è sconfinata. Piuttosto, devono aiutarsi tra di loro, perché sono pochi e sono soli. Non conoscevamo quella parola idiota che molti politici, scienziati falliti, pii, teoreti, ti propinano come motore della ricerca e del progresso: la competizione. L’unico vocabolo sensato per noi era un altro: collaborazione.

Quegli anni di ricerca anarchica e istintiva produssero più innovazioni di qualunque altro periodo della storia della cucina. Non esistevano regole e protocolli. La conoscenza non era il fine, ma il mezzo per arrivare il più lontano possibile, prima di quel salto nel vuoto che ti porta nel terreno inesplorato. Che ti porta a fare l’esperimento di cui, nel profondo del tuo cuore, ignori il risultato. Lontanissimi da quell'idea di ricerca che hanno i finanziatori istituzionali, che ti chiedono di scrivere un progetto in cui già prevedi quello che otterrai…

Col senno di poi, fu proprio il tentativo di convogliare quell'ondata di novità informale nei canali consueti della ricerca, a creare problemi e a segnare la fine di un periodo magico. Il famigerato progetto INICON alla fine portò più danni che benefici. Ci guadagnarono tanto le industrie, ma la cucina molecolare iniziò a perdere fascino. Uno dei cuochi firmò un articolo su una rivista scientifica, insieme ad una schiera di tecnologi. Un articolo goffo, su una delle sue creazioni più insignificanti. Ma la colpa non era sua. Era di chi si illudeva di poter racchiudere, nel formato angusto e stereotipato di un articolo scientifico, la forza dirompente e le emozioni vive di una creazione d’alta cucina.

Torno, per un istante, con la mente al presente. Penso ai miei studenti, dottorandi e borsisti, che devono lottare e competere, sottoporsi al giudizio di impersonali commissioni, che li valutano in base a numerini  fantasiosi, che il pirla di turno ha deciso di ergere ad indicatori oggettivi di valore e qualità.

Non mi piace questo mondo, quest’idea della scienza. Non è quella che sognavo.

Meglio tornare ai ricordi e rituffarsi in quelle notti selvagge, dopo la chiusura delle cucine, con il gin tonic che scorre a fiumi mentre si parla e si assaggia, mentre mettendo insieme la microsteatosi e la teoria della percolazione scopriamo il segreto del foie gras sublime…

Cari amici degli anni ruggenti, siamo stati davvero fortunati.


Noi sì che ci siamo divertiti!



4 commenti:

  1. Vedo nell'elenco che i premiati sono qualificati come dottori, professori, direttori, presidenti... Mancava proprio un pioniere! Adesso sul biglietto da visita potrai scrivere: Dott., prof., pion. Davide Cassi. Complimenti!

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  2. I miei complmenti, Davide.
    In vita mia mi ero sempre reputato un buongustaio, con un approccio ingenuamente scientifico sia alla cucina che alla degustazione (corso sommelier AIS) ma devo ammettere che i tuoi articoli (se mi perdoni il tu) mi hanno aperto gli occhi più di ogni altra cosa nel corso dei miei (ormai più di 60) anni.
    Ti auguro di proseguire con lo stesso impegno e passione che hai finora dimostrato.
    E' bello ritrovarsi tra amici che condividono una passione intelligente.
    Vi invidio.

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  3. Grazie Davide per quello che ci insegni! La "cucina molecolare" sta perdendo il suo fascino, ma spero che aumenti quello per la "scienza in cucina". Frequento tanti forum di cucina e vedo che la preparazione tecnica dei "non addetti ai lavor"i è spesso alissima; peccato che negli Istituti Alberghieri la scienza non riesca ad entrare.

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  4. Auguri Professore! coincidenza vuole che oggi ho comprato "McGee on Food & Cooking", si può considerare lui l'apripista della moderna attenzione della scienza in cucina?
    Saluti.

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